Una montagna calcarea
Il Monte Barro è un affioramento calcareo dolomitico che si leva al limite meridionale delle Prealpi lombarde, e la natura calcarea delle rocce influenza molto l’assetto morfologico, vegetazionale e idrico del Monte.
L’azione delle precipitazioni, rese acide dall’anidride carbonica presente nell’aria, dà origine al fenomeno del carsismo tende a disciogliere la roccia calcarea, lasciando testimonianze dell’attività erosiva dissolutrice osservabili anche in superficie, come ad esempio i campi solcati e le doline, visibili in località Pian Sciresa e facilmente osservabili anche in altre zone del Monte Barro.
Durante le Glaciazioni il ghiacciaio dell’Adda che scendeva dallo Stelvio, invadeva la Valtellina e si univa a quello dello Spluga e della Valchiavenna proseguendo poi verso sud con uno spessore di oltre 1.500 metri e una lunghezza di circa 200 km. Ritirandosi lasciò depositati i materiali trascinati con sé nel suo lungo percorso tra cui massi di tutte le dimensioni, in particolare graniti, ghiandoni e serpentini provenienti per lo più dalla Valmalenco e dalla Valmasino.
Questi massi erratici sono presenti numerosi sul Monte Barro, e il fatto che si trovano solamente fino a quota 850 (la vetta è a 922 metri) fa ritenere che la cima del monte emergesse dal ghiaccio anche durante la massima espansione dell’ultima glaciazione, detta di Würm, avvenuta circa 20.000 anni fa.
Per millenni i massi erratici hanno alimentato la fantasia popolare perché la teoria delle glaciazioni è stata elaborata scientificamente solo nel corso della seconda metà dell’800. Prima di allora appariva inspiegabile e misteriosa la presenza di massi le cui caratteristiche litologiche indicavano una sicura provenienza alpina che non aveva niente a che vedere con le rocce e il suolo circostante.
Oggi i grandi massi erratici sono considerati veri e propri monumenti dell’era glaciale e sono protetti da una legge regionale, ma per millenni sono stati scalpellati, sfruttati e riutilizzati come materiali da costruzione per farne tombe, are sacrificali, stele, cippi stradali, marciapiedi, architravi, stipiti di portoni, pilasti, capitelli oppure strumenti di uso quotidiano come macine per cereali o legumi.
Era infatti certamente più comodo utilizzare queste rocce che si trovavano a portata di mano che andarle a prendere nelle cave della Valtellina e trasportarle fino a destinazione. Alcuni di questi massi presentano curiose cavità dette “coppelle” o “scodelle” di dimensioni e forma diverse. Tante sono state le ipotesi fatte sulla loro origine: c’è chi ipotizza un’azione naturale collegata a fenomeni di erosione (simili alla genesi delle cosiddette “marmitte dei giganti”), oppure un’origine artificiale, dovuta all’azione dell’uomo per utilizzi di vario genere.
Sul Monte Barro sono presenti molti di questi esemplari con caratteristiche diverse. Per esempio ai Piani di Barra si può osservare il “Masso delle coppelle”, un masso di serpentino la cui superficie presenta alcune cavità regolari con diametro di circa 5 centimetri. Nella Valle della Pila si può trovare, lungo il sentiero, un piccolo erratico di ghiandone che è detto “Sasso della Pila” (mortaio) per la presenza di una cavità a forma di scodella sicuramente di origine artificiale. Una cavità di questo tipo si poteva prestare ottimamente alla macina dei cereali, utilizzando un pestello in legno.
La composizione rocciosa ha molto influenzato l’aspetto vegetazionale del Monte Barro, in quanto sui terreni calcarei originatisi dal materiale roccioso del Monte sono presenti piante amanti dei terreni basici, mentre in prossimità di suoli di origine morenica si sono sviluppati vegetali che prediligono suoli acidi. Nelle rocce calcaree è possibile osservare la presenza di fossili che rappresentano e indicano tracce della vita nel passato: lo stesso Antonio Stoppani in una sua pubblicazione descrisse la ricchezza dei fossili presenti a Monte Barro, risalenti in particolare alla fauna del Triassico.